La pandemia di coronavirus è arrivata nel momento in cui i grandi paesaggi geopolitici sui quali lavoravo già da alcuni d’anni stavano attraversando una fase di stanca, perchè non riuscivo con essi a trascendere una dimensione regionale che ne limitasse un loro possibile sviluppo verso una più ampia ed aperta, per temi e visioni espresse, visione globale.
Dopo un breve periodo di “shock” in cui ho pensato che proprio a causa della natura assolutamente globale della crisi pandemica per i miei paesaggi sarebbe giunta la parola fine, accadde l’esatto contrario di ciò che mi sarei aspettato. Fu proprio l’innesto della grande storia a rivitalizzare una pianta ormai troppo matura che senza di esso probabilmente non avrebbe dato più frutti.
Cresciuti su uno schema sperimentato e ripetuto più volte, nascono lavori per me assolutamente inediti, nei quali entra di prepotenza la complessità del mondo che li accende di nuove luci e vi proietta inedite ombre inquietanti.
I primi otto quadri mantengono dal punto di vista formale lo stesso schema visivo dei miei lavori precedenti alla pandemia. Parlano del mondo ma sempre a partire da visioni prospettiche prese da diverse angolazioni sulla città di Trieste e i suoi dintorni, sulle quali però il cosiddetto “mondo globale” apporta radicali e “straordinarie” modifiche. La città e i dintorni, se pur ancora riconoscibili, cambiano i connotati, riplasmate e ridisegnate da una potentissima volontà esogena alla cui forza non è dato di costruire alcun argine che possa ritenersi efficace.
Negli ultimi due quadri fatti ormai nell’autunno del 2020 l’occhio dell’osservatore sale invece in altissimo regalandoci due visioni vaste e dilatate a scala continentale, forse a voler dire che, oltre un certo limite, il gioco di rappresentare la complessità entro uno schema ripetuto avrebbe necessariamente perso efficacia.
Per quanto mi renda conto del rischio che si corre a parlare di se stessi con la pretesa di essere obiettivi, credo di riconoscere a questo primo ciclo di quadri un grande valore aggiunto rispetto al mio lavoro consueto, ovvero la percezione forte e chiara di aver avuto, anche se solo per un breve tempo, quella funzione di “medium” che sempre un artista dovrebbe avere nel rendere chiara alla propria e alle anime affini,la natura profonda del senso degli eventi che le circondano e dei quali, senza tale intermediazione, non riuscirebbero a farsi una ragione.
Scrivo questo breve testo introduttivo quasi due anni dopo la realizzazione di questo ciclo di opere e constato con un certo stupore come l’interpretazione degli eventi che avevo espresso “a caldo” e quasi in “stato di trance” mantenga la sua credibilità e rispettabilità di fronte all’inevitabile “prova della storia” che , nel caso tale interpretazione non avesse avuto fondamento alcuno, avrebbe finito col togliere all’opera ogni senso e legittimità.
Le mie proposte
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